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Perché Dio ha creato il mondo?

Un approccio olistico alla rivelazione biblica.

di Marcello Cicchese

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La terra, secondo una diffusa e popolare religiosità, è un luogo che si trova tra il paradiso e l’inferno. Il paradiso si trova in cielo, dove c’è Dio, l’inferno si trova in un profondo abisso, dove c’è il Diavolo. Gli uomini vivono sulla terra sotto lo sguardo indagatore di Dio; se si comportano bene, ricevono aiuto e sostegno durante la vita terrena, e alla fine, se superano l'esame, sono accolti in cielo dove c'è Dio. Se invece si comportano male, ricevono castighi e correzioni durante la vita terrena e alla fine, se non superano l'esame, sono gettati nell’inferno dove si trova il Diavolo.
  Le religioni si differenziano sulla descrizione dei luoghi di arrivo, paradiso e inferno, e sulle regole da osservare per salire in cielo e non essere gettati nell’abisso, ma lo schema essenziale rimane questo.
  In questa visione, la terra è vista come luogo temporaneo di transito e smistamento: la fine della storia è il giudizio universale, in cui si deciderà in modo irrevocabile la destinazione conclusiva di ogni uomo: o in paradiso o all’inferno. E la terra? Forse rimarrà vuota, o sarà distrutta, o sarà messa da qualche altra parte, ma in ogni caso non sarà più oggetto di attenzione.
  In questa visione popolare della religione, così come schematicamente presentata, si pone allora una domanda: ma è per questo che Dio ha creato il mondo? Come una enorme aula in cui svolgere un onnicomprensivo esame che stabilisca in modo definitivo chi saranno i promossi e chi i bocciati?
  Se le cose stanno così, se davvero si tratta di un esame, è chiaro che l’interesse di ogni esaminando sarà tutto rivolto a se stesso, a come dovrà osservare le norme richieste per poter alla fine superare l’esame.
  Anche la religione cristiana, almeno nel modo in cui è stata popolarmente vissuta, e in parte anche insegnata, ha assunto nella storia una forma simile a questa, I preti, in fondo, sono stati intesi come quella particolare classe di specialisti che devono insegnare alle persone normali come si fa ad andare in paradiso. Anzi, col passar del tempo e l’evolversi della dottrina, i preti sono diventati coloro a cui ci si deve rivolgere se si vuole ottenere il lasciapassare per entrare in cielo.
  La predicazione evangelica si presenta in modo indubbiamente diverso: le norme per ottenere l’ingresso in cielo sottolineano la gratuità della salvezza che viene offerta da Dio sulla base della semplice fede nell’opera di Cristo; ma per molti aspetti, almeno in certe presentazioni, non ha modificato il comune schema religioso: la cosa fondamentale per l’uomo che vive sulla terra è che riesca a evitare le fiamme dell’inferno e possa un giorno raggiungere Dio nel cielo. Per il singolo, per la sua sorte eterna, questo naturalmente è importantissimo, anzi è addirittura essenziale; ma sta proprio qui il centro del messaggio biblico? Dio ha creato il mondo al solo scopo di far sì che il massimo numero di persone lascino un giorno questa terra per raggiungerlo eternamente nella sua dimora in cielo?

Dove sta il paradiso?
  Nell’immaginazione popolare il paradiso è un luogo che sta in cielo e in cui si entra dopo morti se ci si è comportati bene sulla terra.
  Nell’immaginazione cristiana il paradiso originario sarebbe il biblico giardino di Eden preparato da Dio per l’uomo. In effetti è così, solo che questo biblico paradiso non si trova in cielo, ma sulla terra. Per questo viene anche chiamato “Paradiso terrestre”.
  L’Eden di cui parla la Bibbia si trovava dunque sulla terra, anzi, per quello che diremo in seguito si può addirittura dire che era il centro della terra. Gli intellettuali, che considerano il racconto della creazione come un'istruttiva favola, o un “mito” se si vuole usare un linguaggio più ricercato, possono essere a disagio quando trovano nella Bibbia una precisa individuazione geografica del luogo dove si trovava l’Eden, con l’indicazione dei fiumi che la circondavano (Genesi 2:10-14).

Se Adamo non avesse peccato
  Dunque Adamo, con la donna Eva tratta dalla sua costola, in origine viveva beato sulla terra. Dio lo mise alla prova con la tentazione del serpente e Adamo cadde nel peccato, trascinando con sé nel degrado l’intera creazione. Come conseguenza, ebbe inizio la storia della salvezza, che come sappiamo ha il suo punto culminante nella persona e nell’opera di Gesù. Alla fine di tutto, in questa schematica presentazione, chi avrà creduto in Gesù andrà in cielo e tutti gli altri andranno all’inferno.
  Si pone allora una domanda, ipotetica ma non inutile: che cosa sarebbe successo se Adamo non avesse peccato? Il peccato non sarebbe entrato nel mondo, dunque non ci sarebbe stato bisogno di una storia della salvezza, e Adamo sarebbe rimasto dov’era, cioè sulla terra. Il premio della sua ubbidienza non sarebbe stato dunque l’andare in cielo, ma il rimanere sulla terra. Ed era effettivamente un premio perché, come sta scritto, al termine della creazione “Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono” (Genesi 1:31). Adamo Dunque avrebbe potuto godere pienamente della bontà della creazione.
  In un approccio olistico alla Bibbia, cioè attento al senso totale della rivelazione di Dio, s’impone allora una domanda: perché Dio ha creato il mondo? Qual è il suo obiettivo? E’ una domanda che in un certo senso si deve fare, non per mettere Dio sotto processo sottoponendolo al nostro interrogatorio, ma per il desiderio di conoscerlo, verificando nella sua Parola se Dio stesso vuole darci una risposta. E si potrebbe anche dire: per il desiderio di amarlo. Perché si può amare veramente solo chi si conosce.
  L’obiettivo di Dio, che è sotteso nella Bibbia fin dall’inizio, è espresso in modo chiaro nei suoi due ultimi capitoli.

    «Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati, e il mare non c'era più» (Apocalisse 21:1).

Il fatto di accostare la nuova creazione cielo-terra alla prima creazione cielo-terra fa capire che non si tratta di una contrapposizione tra il cielo dove c’è Dio, e la terra dove ci sono gli uomini. Il cielo di cui si parla nella prima e nella seconda creazione è una realtà creata, da non confondere con il cielo che in altri passi della Scrittura indica Dio stesso nella sua inaccessibilità. Volendo usare un linguaggio colorito ma efficace, si potrebbe dire che se nella prima creazione c'era il paradiso terrestre iniziale, nella nuova creazione ci sarà il paradiso terrestre finale, ottenuto attraverso l’intera, faticosissima storia della salvezza che ha in Gesù il suo punto centrale. Ciò che Dio farà alla fine è anche ciò che Egli si proponeva di fare fin dall’inizio, sia pure in altra forma se non ci fosse stata la caduta iniziale dell’uomo.

    «E io, Giovanni, vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. E udii una gran voce dal cielo, che diceva: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Ed egli abiterà con loro; e essi saranno suo popolo e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio» (Apocalisse 21:2-3).

La radice del termine greco tradotto con “tabernacolo” (skene) è la stessa del verbo “abitare" (skenao). Una traduzione più efficace potrebbe dunque essere: «Ecco l'abitazione di Dio con gli uomini! Ed egli abiterà con loro». Con ciò si mette in evidenza che anche nell’Antico Testamento il senso profondo del tabernacolo era quello di esprimere il desiderio di Dio di abitare in mezzo agli uomini, nella forma allora indicata e tra gli uomini che rientravano in quel momento nel piano di salvezza di Dio.

Elementi fondamentali del processo creativo
  Nel progetto che il Creatore ha fatto per venire ad abitare fra le sue creatore in un rapporto d’amore compatibile con la sua giustizia sono presenti tre elementi: un habitat, una società e un santuario. Chiameremo mondo questo complesso di elementi, il che corrisponde anche al senso in cui viene usato nella Bibbia nella maggior parte dei casi, anche se non in tutti.
  Come habitat s’intende il contesto creativo della natura, che la Bibbia chiama i cieli e la terra. Qui viene indicato in questo modo per sottolineare che è stato formato con il preciso scopo di essere abitato dagli uomini.
  Come società s’intende l’insieme strutturato e armonico degli uomini che Dio vuole far abitare sulla terra.
  Come santuario s’intende il luogo concreto in cui il Creatore vuole vivere l’incontro con la società delle sue creature, in un rapporto d’amore che mantenga le giuste differenze tra Chi crea e coloro che sono creati.

L’habitat
  Sull’habitat naturale si può soltanto sottolineare che è l’espressione di una precisa volontà di Dio; per questo in origine era totalmente “buono”, senza nessuna ombra. Inoltre, essendo stato creato per primo, non è mai soltanto un palcoscenico per attori che potrebbero andare a recitare da qualche altra parte, ma entra a far parte integrante di tutto ciò che verrà dopo.

La società
  Per quanto riguarda la formazione della società che avrebbe dovuto popolare l’habitat, è fondamentale capire qual è il posto che Dio assegna al singolo uomo. Contro la tesi evoluzionistica, secondo cui la terra si sarebbe popolata di uomini e donne attraverso un graduale processo di trasformazione di sassi, radici e vermi (linguaggio volutamente approssimativo e poco scientifico), la Bibbia fa iniziare tutto da un preciso individuo: Adamo.
  A questo punto si pone la domanda: perché Dio si è arrestato ad Adamo? Perché, dopo essersi accorto che Adamo era solo, non ha impiantato un processo di produzione industriale di Adami con lo stesso metodo di insufflazione, chiamandoli magari Adamo 1, Adamo 2, Adamo 3, e così via, fino a raggiungere il numero necessario per popolare adeguatamente la terra? Avrebbe potuto dare a tutti le stesse istruzioni date al primo Adamo; chi le avesse trasgredite sarebbe morto sul colpo, di modo che in vita sarebbero rimasti soltanto gli ubbidienti. Ecco un sistema che a noi, cresciuti in una individualistica società liberal-democratica, sarebbe parso più ragionevole e giusto. Di fatto, le cose non sono andate così, ma immaginare come avrebbero potuto svolgersi, può far riflettere sulle ragioni profonde dell’agire del nostro Creatore.
  Cominciamo allora col ricordare come si sono svolte le cose secondo la Bibbia.
  Quando Dio creò l’uomo, all’inizio formò un individuo maschio: Adamo. Mentre era ancora solo, Adamo ricevette da Dio l’ordine di non mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male (Genesi 2:17). Poi Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo”, e formò il nucleo della prima società costituita dalla coppia uomo-donna, da cui decise di partire per formare l’intera società che avrebbe riempito l’habitat prima creato:

    “Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta»” (Genesi 1:27-28).

Si può notare di passaggio che l’immagine di Dio presente nell’uomo non è né il maschio né la femmina, ma la coppia maschio-femmina. Da questa coppia sarebbe discesa l’intera società che avrebbe “riempito” la terra. La produzione di esseri umani nel modo in cui è avvenuto per Adamo ed Eva non sarebbe stata ripetuta.
  Di nuovo una domanda: perché? Perché non ripetere la formazione di altre coppie, come avvenuto nel caso di Adamo ed Eva? In alternativa, i due avrebbero potuto restare l’unica coppia generatrice di altri esseri umani, che avrebbero popolato la terra e formato un'unica grande famiglia con due soli genitori. Ma più avanti il Signore precisa:

    “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne” (Genesi 2:24).

Dio dunque voleva che la formazione dell'intera società umana avvenisse attraverso la costituzione di sottosocietà familiari composte da padre, madre e figli, ben distinte fra loro. Si può dire dunque che in origine, prima della caduta, la sola forma di sottosocietà prevista all’interno della società universale era la famiglia mononucleare composta da padre, madre e figli. Le famiglie patriarcali, come pure i single e le coppie senza figli, non erano previste. E neppure erano previste città e nazioni, entrambe da considerare come conseguenze del primo peccato, anche se, come vedremo, il Signore le userà poi per portare a compimento il suo piano di salvezza.
  Nei due tipi di società previsti da Dio, l’universale e la familiare, l’individuo non si annienta, ma non esiste al di fuori della società. In entrambi i casi la società non si sbriciola in una miriade di singole particelle “aventi pari diritti e pari doveri”, ma in ogni forma di società esiste sempre un individuo che la rappresenta e ne risponde. Per l’intera società umana il rappresentante è Adamo, per la società familiare il rappresentante è l’uomo, come marito e padre.

Il santuario
  Nella Bibbia il termine santuario è usato soprattutto nella storica opera di salvezza compiuta da Dio attraverso Israele, ma se come santuario s’intende il luogo fisico e concreto dove il Creatore incontra la società delle sue creature in un rapporto d’amore e giustizia, allora possiamo dire che il primo santuario è stato il giardino di Eden e l’ultimo santuario sarà la nuova Gerusalemme, secondo la citazione già fatta dell’Apocalisse:

    «E io, Giovanni, vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. E udii una gran voce dal cielo, che diceva: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Ed egli abiterà con loro; e essi saranno suo popolo e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio» (Apocalisse 21:2-3).

Se il santuario è il luogo in cui Dio vuole incontrare la società delle sue creature, sarà interessante riflettere sul modo in cui è stato vissuto il primo incontro, secondo quanto riportato nella Bibbia.


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Il primo santuario
   Dio aveva dato ad Adamo ed Eva l’ordine di crescere, moltiplicarsi e riempire la terra: gli uomini dunque avrebbero dovuto spargersi su tutta la terra. Ma prima ancora che fosse formata Eva, Dio aveva assegnato ad Adamo un “giardino”, cioè un particolare territorio che Adamo avrebbe dovuto lavorare e custodire: il giardino di Eden. Sarebbe stato questo il centro del mondo, il luogo a cui avrebbe dovuto riferirsi l’intera umanità che sarebbe discesa dalla prima coppia; lì Dio si sarebbe incontrato con gli uomini, riconoscendo ad Adamo, come primo uomo creato, la posizione di legittimo rappresentante di tutta la società umana da lui discesa.
  Il giardino di Eden sarebbe stato dunque il luogo dell’incontro fisicamente avvertibile fra Dio, nella sua santità d'amore, e l’uomo, nella sua natura di creatura ubbidiente. Con un linguaggio usato in seguito nella Bibbia, si potrebbe dire che il giardino di Eden avrebbe dovuto essere il luogo in cui la creatura veniva ad adorare il suo Creatore. Cioè un santuario.
  Sappiamo bene che cosa è successo poi in quel santuario su istigazione del serpente; ma non è su questo che ora vogliamo soffermarci, ma piuttosto su quello che accadde in seguito:

    “E udirono la voce dell'Eterno Dio, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l'uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza dell'Eterno Dio, fra gli alberi del giardino. E l'Eterno Iddio chiamò l'uomo e gli disse: 'Dove sei?” (Genesi 3:8-9).

La presentazione di un Dio che cammina nel giardino e chiede all’uomo di dirgli dov’è, come se non fosse capace di saperlo da solo, induce al sorriso: “ecco la presentazione in forma infantile di una profonda realtà spirituale che non si può esprimere in altro modo”, pensa l’uomo evoluto di oggi nella sua protervia intellettuale, questa sì davvero infantile agli occhi di Dio.
  Le cose invece sono andate proprio così, come dice la Bibbia. E tutto fa pensare che non fosse la prima volta che Dio si presentava ad Adamo ed Eva nel giardino di Eden in forma corporalmente riconoscibile da loro. L’amorevole incontro tra Dio e la sua creatura era concreto, corporale, e dunque non continuo. Continua sarebbe stata la comunione d’amore, che in certi momenti sarebbe stata vissuta in forma di una particolare vicinanza fisica, come avviene in un matrimonio ben riuscito.

Ma le cose non sono andate così
  Sta scritto che nel giardino affidato all’uomo l’Eterno Iddio fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli alla vista e il cui frutto era buono da mangiare” (Genesi 2:9). Al centro di questo giardino, dunque proprio nel mezzo del primo santuario, Dio fece spuntare due piante speciali: l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male.
  Il frutto del primo albero sarebbe stato per l’uomo il nutrimento che gli avrebbe permesso di proseguire in una vita senza limite, mantenendo così in eterno quel rapporto d’amore che Dio voleva instaurare con la sua creatura.
  Quanto al secondo albero, è quasi sicuro che per Adamo rappresentò un enigma: “conoscenza del bene e del male”, che significa? Adamo era nato e cresciuto in un avvolgente bene totale: in lui e intorno a lui tutto era buono. Che cosa poteva significare per lui la parola “male”? Che cos’è il male? Ma se anche non poteva capire il significato di quella parola, poteva ben capire che cosa voleva Dio da lui con l’ordine che gli aveva dato riguardo al frutto di quell'albero: “Non ne mangiare”, aveva detto. E perché? mi chiedo subito io. Non è detto però che se lo sia chiesto anche Adamo, perché lui non era ancora immerso nel peccato, come invece sono io, insieme a tutti gli altri uomini mortali. Per Adamo tutto era buono: sia il permesso di mangiare, sia l’ordine di non mangiare. Se l’ha detto Dio, che c’è da discutere?

Qualcosa è andato storto.
  Conosciamo tutti la storia del “peccato originale”. Quello che di solito si sottolinea è la disubbidienza della creatura rispetto all’ordine del Creatore, e la parte che ha giocato il serpente nell’indurre l’uomo alla trasgressione.
  Qui invece vogliamo riflettere sulla parte del Creatore, e chiederci come mai il progetto di Dio non ha funzionato. Eppure, alla fine del suo lavoro Dio aveva detto che tutto era “molto buono”. Come mai allora da quella meravigliosa opera creativa sono scaturite conseguenze così disastrose: guerre, morti, calamità, disgrazie? Non ci sarà stato qualche errore di progettazione? Perché Dio ha fatto spuntare nel giardino quel pericoloso albero della conoscenza del bene e del male? Perché, dopo averlo messo proprio al centro del giardino, bene in vista, ha imposto all’uomo di non mangiarne il frutto? Perché, pur conoscendo la pericolosità del serpente, ha permesso che entrasse liberamente nel giardino e prendesse la parola? Perché, dopo che con la sua menzognera arte seduttiva aveva cominciato a parlare, non ha inviato qualche angelo a esporre l’interpretazione autentica delle parole di Dio?
  Sono domande legittime, di cui si può cercare risposte nella Bibbia, tenendo presente però che vale il principio secondo cui “nella Bibbia o si capisce il tutto o non si capisce niente”. E’ uno slogan, ma può servire ad abbozzare quello che s’intende per “approccio olistico alla Bibbia”.

Partiamo dunque dall’inizio
  “Dio è amore”, sta scritto nella prima lettera dell’apostolo Giovanni (4:8,16), ed è un’affermazione che dev’essere vista al principio di tutta l’opera di creazione. Dio ha voluto formare un mondo abitato da una società di uomini in cui Egli potesse esprimere la sua natura d'amore. E l’amore, per essere pienamente compiuto, deve essere contraccambiato; e per essere contraccambiato, chi riceve l’offerta d’amore deve essere libero di rispondere sì o no. In altre parole, la libertà è il terreno basilare su cui può avvenire lo scambio d’amore.
  Ma lo scambio d’amore fra Dio e l’uomo non può essere simmetrico. L’amore di Dio è attivo, e l’amore dell’uomo è reattivo. “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Giovanni 4:19), dice la Bibbia. L’amore attivo di Dio ha un dono e una parola, perché l’amore è collegato alla verità e la verità è collegata alla parola. Dio aveva detto ad Adamo:

    «Mangia pure (dono) da ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai (parola di verità)» (Genesi 2:16-17).

In sostanza, all’uomo è stata offerta la possibilità di vivere una relazione d’amore in una posizione di libera e fiduciosa sottomissione a Dio; il serpente invece è riuscito a far credere all’uomo che la sua relazione d’amore con Dio sarebbe stata piena soltanto se vissuta in posizione di parità: “… sarete come Dio” (Genesi 3:5). Ma questo non è possibile: chi ci prova, muore.
  Con la loro pretesa di autonomia, Adamo ed Eva hanno rotto il legame spirituale che li collegava al Datore della vita. Non sono morti sul colpo, subito dopo aver preso il frutto dell’albero, ma è come se avessero contratto immediatamente una malattia mortale. Dovevano fisicamente morire, era inevitabile, perché Dio l’aveva chiaramente detto, ma tra il compimento del “reato” e le sue annunciate conseguenze, il Creatore si è riservato uno spazio di tempo per prendere le sue decisioni.
  Esamineremo più avanti la nuova formulazione che Dio volle dare al suo progetto dopo la fatale scelta di Adamo ed Eva, ma ora vogliamo provare ad immaginare che cosa sarebbe potuto accadere se Adamo ed Eva non avessero dato ascolto alle parole del serpente e avessero deciso di attenersi strettamente all’ordine di Dio.

L’ipotetica conseguenza di una “ubbidienza originale” a Dio
  La presenza del serpente nel giardino di Eden fa capire che la creazione è avvenuta sotto gli sguardi di Satana, capo di una ribellione angelica che ha prodotto una caduta precedente a quella dell’uomo. Al ribelle Satana Dio ha concesso di entrare nel giardino e rivolgere all’uomo una parola che avrebbe costituito per lui il decisivo test d’esame: Sì o No alla parola d’amore di Dio. Una “prova d’amore” dunque, espressa in parole, come fece Gesù con Pietro presso il mar di Tiberiade: “Simone di Giovanni, mi ami tu?” (Giovanni 21:1-9). Se Adamo, insieme a Eva, avesse risposto Sì a Dio, come poi fece Pietro con Gesù: la comunione d’amore che genera vita sarebbe fruttuosamente proseguita: la coppia avrebbe potuto accedere all’albero della vita, da cui avrebbero ricevuto entrambi vita eterna fisica, senza altri test aggiuntivi. E’ normale dire questo, perché come è bastato un unico No per provocare la caduta di tutto il programma di Dio, così sarebbe bastato un unico Sì per il mantenimento del programma originario nella forma prevista. Lo spirito che il Signore aveva soffiato nelle narici di Adamo per farlo vivere, sarebbe passato anche ai suoi discendenti di generazione in generazione. Come adesso diciamo che ogni bambino è malvagio fin dalla nascita, in quel caso si sarebbe detto che ogni uomo è buono fin dalla nascita, perché porta i segni della fedeltà a Dio dei suoi progenitori. E come oggi diciamo che anche se tutti nascono originariamente “cattivi”, non per questo tutti saranno dannati, così per il fatto che tutti sarebbero nati originariamente “buoni”, non per questo tutti sarebbero stati “salvati”, cioè mantenuti in eterna comunione con Dio.
  Se Adamo avesse risposto Sì a Dio, Satana avrebbe indubbiamente perso una battaglia, ma questo non sarebbe stata la sua definitiva sconfitta nella guerra con Dio. Sarebbe avvenuto il contrario di ciò che avviene al presente dopo la caduta. Oggi ogni uomo nasce malvagio, ma Dio gli concede, rivolgendogli la parola adatta nel momento opportuno, la possibilità di dire Sì a Lui ed essere salvato. Nel mondo scaturito dall’ubbidienza di Adamo a Dio, ogni uomo sarebbe nato buono, ma Satana avrebbe avuto la possibilità di rivolgersi all’uomo divenuto adulto e mettere in dubbio la verità della Parola di Dio ricevuta attraverso i suoi genitori: sarebbe stato dunque sottoposto a un test simile a quello per cui era passato Adamo. Se l’avesse superato, sarebbe stato mantenuto nella “santa società” in cui Dio dimora; in caso contrario sarebbe stato gettato fuori e consegnato nella mani di Satana, di cui aveva seguito il consiglio.
  La società voluta da Dio sarebbe stata dunque sempre costituita da tutti e soli santi; e quando fosse stato raggiunto il numero stabilito dal programma, Dio avrebbe condannato definitivamente Satana, in forme che non sappiamo e non dobbiamo immaginare.
  Alla fine di tutto si sarebbe realizzato l'obiettivo contenuto nel progetto originario di Dio, come espresso nelle parole dell’Apocalisse:

    «Ecco l’abitazione di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro; e essi saranno suo popolo e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio» (Apocalisse 21:3).

Quanto sopra immaginato, come puro esercizio letterario, può essere convincente o no, ma ha il solo scopo di far riflettere, per differenza, su ciò che poi si è effettivamente verificato nella storia biblica.

Ma Adamo ha detto No
  Adamo si è lasciato convincere dal serpente e ha detto No a Dio. In quel momento, avendo rotto la comunione vitale col suo Creatore, è spiritualmente morto. Avrebbe potuto continuare a vivere fisicamente, ma questo per lui avrebbe significato entrare definitivamente nella schiera di Satana, condividendone il destino eterno preparato da Dio. Per questo il Signore ha impedito ad Adamo di prendere del frutto dell’albero della vita: affinché non entrasse a far parte dell’esercito dei demoni, condividendone la sorte eterna.
  La morte fisica di Adamo è stata dunque una condanna preannunciata, ma nella forma in cui Dio l’ha eseguita è stata una grazia, perché Dio non ha voluto che l’uomo entrasse a far parte dell'esercito di Satana e il progetto creazionale dovesse essere definitivamente abbandonato.
  E’ da questo momento che si possono cominciare ad applicare le ben note parole del Vangelo di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo…”. Sì, perché Dio ha cominciato ad amare il mondo fin da quando l’ha pensato e progettato; e chi ama davvero, non si rassegna facilmente ad accettare che l’oggetto del suo amore si rovini con le sue mani, dicendo che “tanto è colpa sua, peggio per lui”; chi profondamente ama cerca in tutti i modi di salvare l’oggetto del suo amore, nel desiderio di poterlo riottenere, sia pure in condizioni diverse.
  Così ha fatto il Signore: ha tanto amato il mondo (in senso pieno: habitat-società-santuario) che per riaverlo ha “faticato” molto più di quanto avesse fatto nella prima creazione. Ma invece di riaverlo in forma rattoppata, alla fine lo riotterrà in una forma molto più gloriosa di quella originaria.
  Questo però a Dio è costato molto. Davvero molto:

    ‘Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito figlio affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16).
Il chiunque di questo versetto sottolinea che ogni uomo può essere salvato, senza distinzione di qualsiasi tipo, ma non bisogna trascurare, tenendo presente l’intero messaggio biblico, che avere la vita eterna significa ottenere la grazia di entrare a far parte viva del glorioso progetto salvifico di Dio. Ed è appunto su questo che nel seguito vogliamo riflettere.


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L’agire di Dio
  Si dice talvolta che nell’evangelizzazione il credente deve saper esporre “il piano della salvezza”, dove con ciò s’intende la presentazione di quello che Dio ha fatto in Gesù Cristo per offrire all’uomo il perdono dei peccati, e il successivo invito ad accettare tale offerta e ottenere così una sicura salvezza eterna. Un annuncio del Vangelo presentato in questo modo è stato decisivo in molti casi per portare qualcuno alla conversione, ma è chiaro che non esprime “tutto il consiglio di Dio” (Atti 20:27).
  Una chiave di lettura fondamentale dell’approccio olistico alla Bibbia che si vorrebbe fare in questo studio può essere espresso con una semplice formulazione: il personaggio principale della Bibbia è Dio. E’ da Lui che si deve sempre cominciare. Ovvio? Banale? Se ne riparlerà nel seguito, ma un primo accenno si può fare accostando i termini salvezza e consiglio usati poco sopra: la salvezza di cui si parla si riferisce all’uomo, mentre il consiglio si riferisce a Dio. Che cosa viene prima? la salvezza o il consiglio?
  Per fare un veloce sguardo sul messaggio biblico nella sua totalità, si possono leggere i primi due capitoli della Bibbia (Genesi 1-2) e saltare subito dopo agli ultimi due (Apocalisse 21-22), e chiedersi: che cosa è avvenuto tra l’inizio e la fine di questo racconto? In entrambi i casi si parla di Dio e di uomini, ma mentre Dio agisce in sovrana libertà, gli uomini reagiscono nella circoscritta libertà loro concessa, e ne subiscono le inevitabili conseguenze. Nel seguito, questo schema di rapporti si ripete in continuazione, anche se in forme diverse, e va da sé che per capire i fatti che poi accadono, la riflessione non può che cominciare da ciò che sta all’inizio: cioè da Dio che agisce.

I due progetti
  Abbiamo già visto che l’originario progetto di Dio prevedeva la creazione di un habitat perfetto, popolato da una società di giusti, al cui centro si trova un santuario in cui Dio abita in mezzo agli uomini. L’esercizio che Adamo, capostipite dell’umanità, ha fatto della libertà a lui concessa, ha compromesso la forma originaria del progetto, facendo penetrare in tutta la creazione il virus di una fatale malattia che la Bibbia chiama “morte”:

    “Come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per mezzo del peccato la morte, così la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” (Romani 5:12).

I segni di questa malattia mortale sono presenti dappertutto, nella forma di una corruzione presente in tutti i campi. Il Signore comunque ha consentito al suo progetto creativo di andare avanti, preparando un’opera di recupero salvifico che, anche se avrà bisogno di secoli, sarà comunque portata a compimento: il tempo è un problema per noi, non per Dio. Dal quarto capitolo della Genesi in poi, la Bibbia è interamente dedicata alla presentazione di questo progetto di recupero.
  Nel seguito chiameremo “primo progetto”, o “progetto creativo”, o più semplicemente “creazione”, l’originario piano di Dio, e “secondo progetto”, o “progetto redentivo”, o semplicemente “redenzione”, il piano di salvezza elaborato da Dio dopo la caduta dell’uomo. Quando il progetto è in esecuzione, useremo anche il termine “programma”.
  E’ chiaro che a noi interessa soprattutto il progetto redentivo, perché è quello che ci riguarda in questo tempo; e poi… siamo uomini, e come uomini pensiamo soprattutto ai nostri interessi personali. Ma se, oltre allo star bene adesso e in eterno, qui in terra e su nel cielo, e oltre al progetto di salvezza in cui siamo inseriti, dirigiamo la nostra attenzione sul progettista che l’ha ideato; se siamo interessati a conoscerlo meglio; se siamo stati afferrati da quella parola di Gesù che dice: “'Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua e con tutta la mente tua” (Matteo 22:37), allora forse saremo interessati anche a conoscere più a fondo chi è davvero Colui che ci ama, e ora noi vogliamo amare; e forse cercheremo di sondare, nei limiti del possibile e del lecito, quali sono i pensieri e i sentimenti che spinsero il Creatore a formulare quel grandioso programma di creazione prima che l’uomo lo facesse deviare. Perché è lì, all’origine di tutte le cose, che Egli ha cominciato a esprimere Se stesso, per darne poi conoscenza alle sue creature.
  Per il momento ci limiteremo a notare soltanto le differenze più evidenti tra i due progetti.
  Il progetto creativo parte con un inizio in cui tutto è molto buono. Nell’ordine compare dapprima l’habitat, costituito da “i cieli e la terra” dell’incipit biblico, poi la società, potenzialmente presente nella coppia Adamo-Eva, poi il santuario, costituito dal Giardino di Eden.
  Il primo Adamo è stato tratto dal primo habitat, cioè dalla terra “molto buona” che Dio aveva creato fino a quel momento. Attraverso il soffio di Dio nelle sue narici, l’uomo è diventato un’anima vivente (1Corinzi 15:45). Nell’immaginaria ipotesi di ciò che sarebbe avvenuto se la prima coppia non avesse peccato, l’habitat sarebbe rimasto perfetto in ogni sua parte; la società sarebbe rimasta anch’essa perfetta perché i ribelli sarebbero stati immediatamente distrutti; il santuario sarebbe rimasto a disposizione degli uomini come centro della terra e luogo d’incontro nella relazione d’amore tra il Creatore e la creatura.
  Il progetto redentivo opera invece su un mondo contaminato dal male in ogni sua parte, e tuttavia mantenuto in piedi dalla provvidenza di Dio, perché su quella terra maledetta è destinato a cadere un giorno il seme di vita che porterà guarigione eterna al mondo, cioè la salvezza nel senso pieno della parola.
  Quello che l’apostolo Paolo chiama ultimo Adamo è spirito vivificante (1Corinzi 15:45), è stato formato (non creato) con il soffio dello Spirito di Dio non più nella terra inerte, ma nel corpo vivente di una giovane donna ebrea. Tra i due Adami ci sono dunque differenze, ma sono confrontabili, perché in entrambi i casi sono espressione di “Colui che opera ogni cosa secondo il consiglio della propria volontà” (Efesini 1:11).
  Con questo abbiamo appena toccato il tema che dottrinalmente si chiama “incarnazione”, ma qui vogliamo soltanto limitarci a sottolineare che in Gesù Dio è venuto a compiere quello che fin dall’inizio è stato il suo proposito: venire ad abitare in mezzo agli uomini:

    “E la Parola si è fatta carne ed ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre” (Giovanni :1:14).

L’habitat finale del secondo progetto è costituito dal “nuovo cielo e nuova terra” dell’Apocalisse (cap. 21). Esso appare per ultimo, e solo allora sarà perfetto in ogni sua parte, perché sarà liberato dalla vanità a cui ora è sottoposto a causa del peccato dell'uomo (Romani 8:18-25).
  La società finale che lo popolerà, secondo le poche cose che si dicono negli ultimi due capitoli della Bibbia, sarà una società di tutti giusti, perché giustificati dall’opera di Cristo, e in essa ci saranno popoli, nazioni e re della terra (Apocalisse 21:24-26). Sarà il Regno eterno di Dio che Gesù consegnerà nelle mani del Padre “dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza” (1 Corinzi 15:24). Esso sarà preceduto dal Regno messianico milleniale promesso a Israele nell'Antico Testamento, che si svolgerà in un habitat e con una società non ancora totalmente redenti.
  Il santuario finale sarà costituito dalla nuova Gerusalemme, in cui non ci sarà alcun tempio dove incontrare il Signore, perché “l’Onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio” (Apocalisse 21:22).
  Abbiamo messo a confronto diretto, in modo schematico e necessariamente approssimativo, l’inizio e la fine dell'intero programma di Dio, accostando i primi due capitoli della Genesi con gli ultimi due dell’Apocalisse, anche per sottolineare che il corretto esame di tutto quello che si trova in mezzo deve essere fatto seguendo lo svolgersi del discorso lungo le linee di azione di Dio, dall’inizio alla fine, senza saltellare di qua e di là con occasionali e arbitrarie interpretazioni di singoli passi, staccati non solo dal contesto linguistico, ma in certi casi anche dal centro del messaggio biblico.

Chi saranno i cittadini della nuova società?
  Detto in poche parole: chi saranno i salvati? La domanda è seria, perché se il nuovo mondo sarà realizzato soltanto alla fine della storia, i suoi abitanti proverranno tutti da quello che è stato il vecchio mondo, così come si svolge dalla creazione in poi. Abbiamo detto che se Adamo non avesse peccato, nel progetto creativo i cittadini della società voluta da Dio sarebbero stati soltanto coloro che avrebbero superato il test a cui il Signore li avrebbe sottoposti; qualcosa del genere è previsto anche nel progetto redentivo: gli abitanti della finale società saranno soltanto coloro che hanno risposto Sì al Signore, anche se la chiamata di Dio potrà arrivare al singolo in modi diversi a seconda del momento storico in cui vive. Anche se è vero che tutti gli uomini sono peccatori fin dalla nascita, perché partecipi di un mondo in cui è entrata la corruzione della morte, non per questo Dio li vede tutti allo stesso modo: il racconto di Caino e Abele fa capire che Dio osserva e valuta l’atteggiamento di ogni uomo rispetto a Lui in base a quello che egli ha ricevuto, sa e decide.
  E’ chiaro comunque che in ogni caso la salvezza sarà donata da Dio al peccatore soltanto in virtù dell’opera giustificante di Gesù sulla croce, perché “in nessun altro vi è la salvezza, poiché non c’è alcun altro nome sotto il cielo che sia dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” (Atti 4:12). E’ quello che in termini teologici si esprime dicendo che la salvezza si ottiene per grazia mediante la fede, sempre e in ogni caso.
  Può sorprendere, a proposito di salvezza personale, che l’Antico Testamento sembri poco interessato a indicare in modo chiaro chi sarà eternamente salvato e chi no. Non potremmo dirlo con certezza neppure per Adamo ed Eva. Fino all’arrivo di Gesù, la Bibbia non dice quello che gli uomini devono fare per poter salire un giorno dalla terra e andare in cielo, ma piuttosto informa su quello che Dio ha fatto, e in seguito farà, per avvicinarsi dal cielo agli uomini che vivono sulla terra. Se ne dovrà riparlare.


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Un Dio che agisce
   Abbiamo detto che il personaggio principale della Bibbia è Dio; e abbiamo sottolineato che ogni riflessione sugli scritti biblici deve sempre cominciare da ciò che sta all’inizio, cioè da Dio che agisce. Per capirlo basta aprire la Bibbia alla prima pagina: “Nel principio Dio creò i cieli e la terra”. Il racconto non comincia con una profonda riflessione sul problema del bene e del male, dell’amore e dell’odio, della gioia e del dolore, e così via filosofando, ma il quadro si apre facendoci vedere un Dio che agisce. Dio disse, Dio fece, Dio vide, Dio creò. E così fu. Sei giorni di duro lavoro, ma ne valeva la pena, perché alla fine il giudizio che ne dà lo stesso Operatore è ottimo: “Dio vide tutto quello che aveva fatto ed ecco, era molto buono”.
  Ai sei giorni di lavoro attivo se ne aggiunse un settimo, che indubbiamente si distingue dai precedenti:

    “Il settimo giorno, Dio compì l'opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da tutta l'opera che aveva fatta. E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso si riposò da tutta l'opera che aveva creata e fatta(Genesi 2:2-3).

Dio giudica perfetta l’opera che aveva creata e fatta nei primi sei giorni e la completa con un settimo giorno che ha come centro di attenzione non le varie cose create, ma la persona stessa del Creatore. Se le descrizioni degli atti creativi sono viste come fotografie, si può dire che nell’ultimo giorno il Signore si è fatto un selfie. Nelle altre foto si vedono oggetti creati, mentre in quest’ultima si vede il Creatore che riposa. “Riposo di Dio ”potrebbe essere la scritta in calce alla foto, che è la più importante di tutte, perché dà senso a tutte le altre.
  Nel seguito Dio stesso parlerà del mio riposo in cui alcuni non entreranno (Salmo 95, Ebrei 4), e questo accenna al fatto che Dio connette il suo riposo di Creatore con quello che si svolge sulla terra tra le sue creature. E il fatto che Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò sottolinea ancora una volta il fatto che nella creazione, e in tutto ciò che ne consegue, al centro della scena c'è il Creatore. Il termine astratto “creazione” non si trova mai nell’Antico Testamento, e attira l’interesse più sulle cose fatte che su Chi le fa.

Un Dio che pensa
   Abbiamo visto che “nel principio” Dio si presenta come un operatore che agisce, lavora e ottiene un risultato più che soddisfacente.
  Ma prima di lavorare, Dio che cosa faceva? “Preparava una verga con cui frustare quelli che fanno domande come questa”, fu la fulminea risposta che diede una volta Lutero. Ma forse il riformatore in questo non aveva ragione: dipende dallo spirito con cui si fa la domanda. Potrebbe esprimere il desiderio di conoscere più a fondo l’Operatore che ha compiuto un’opera così grandiosa, attratti dall’ammirazione per la persona, prima ancora che per gli oggetti da lui creati.
  Una risposta alla domanda fatta potrebbe essere: Dio pensava. Sì, pensava al lavoro che avrebbe fatto in quei primordiali sei giorni, perché la creazione, prima di apparire nella sua concretezza, è esistita nella mente di Dio come progetto. Ed è proprio nel progetto, prima ancora che nella sua messa in opera, che si manifesta la personalità del Creatore nella sua infinita sapienza:

    “Con la sapienza l’Eterno fondò la terra, e con l’intelligenza rese stabili i cieli” (Proverbi 3:19).

Dalla sapienza di Dio è scaturita la creazione. E se la creazione ha avuto un inizio, la sapienza di Dio no. Il Progettista ha preceduto in tempo e importanza l’Operatore.
  Tra tutti gli esseri creati, l’uomo ha ricevuto la capacità di indagare le opere create da Dio, e anche di provare a risalire nel tempo fino a tentare di arrivare alle origini dell’opera, ma oltre questo non può andare. Alla mente del Progettista l’uomo non ci arriva. Neppure con le sue più sofisticate tecniche filosofico-scientifiche. E quando si arrischia a farlo, scivola fatalmente su un piano di stoltezza che può farlo arrivare fino alla follia:

    Chi ha preso le dimensioni dello Spirito dell'Eterno o chi è stato il suo consigliere per insegnargli qualcosa? (Isaia 40:13).

Il pensiero di Dio non si raggiunge per opere, ma solo per rivelazione. Con le nostre umane capacità possiamo esaminare gli oggetti creati, conoscerli, manipolarli, trasformarli, ma con quali strumenti potremo arrivare a conoscere il pensiero di Dio? Il “come” delle cose fatte possiamo capirlo, ma il “perché” sono state fatte così, chi è in grado di spiegarlo?

    L'uomo stende la mano sul granito, rovescia dalle radici le montagne. Pratica trafori dentro le rocce, e il suo occhio scorge quanto vi è di prezioso. Frena le acque perché non fuoriescano e trae fuori alla luce le cose nascoste. Ma la sapienza, dove trovarla? Dov'è il luogo dell'intelligenza?  L'uomo non ne conosce la via, non la si trova sulla terra dei viventi (Giobbe 28:9-13).

C’è un passo nella Bibbia che allude a ciò che è prima della creazione:

    L'Eterno mi ebbe con sé al principio dei suoi atti, prima di fare alcuna delle sue opere più antiche (Proverbi 8:22)

Di chi si tratta? E’ detto poco sopra: “Io, la sapienza, sto con l'accorgimento e trovo la scienza della riflessione” (Proverbi 8:2). Dunque si tratta di Dio stesso nella veste del sapiente che riflette, e non solo.
  Il passo intero continua così:

    22 L'Eterno mi ebbe con sé al principio dei suoi atti, prima di fare alcuna delle sue opere più antiche. 23 Fui stabilita fin dall'eternità, dal principio, prima che la terra fosse. 24 Fui generata quando non vi erano ancora abissi, quando ancora non vi erano sorgenti straripanti di acqua. 25 Fui generata prima che i monti fossero fondati, prima che esistessero le colline, 26 quando egli ancora non aveva fatto né la terra né i campi né le prime zolle della terra coltivabile. 27 Quando egli disponeva i cieli io ero là; quando tracciava un cerchio sulla superficie dell'abisso, 28 quando condensava le nuvole in alto, quando rafforzava le fonti dell'abisso, 29 quando assegnava al mare il suo limite perché le acque non oltrepassassero il suo cenno, quando poneva i fondamenti della terra, 30 io ero presso di lui come un artefice, ero sempre esuberante di gioia, mi rallegravo in ogni tempo nel suo cospetto; 31 mi rallegravo nella parte abitabile della sua terra, e trovavo la mia gioia tra i figli degli uomini (Proverbi 8:22-31).

Per sei giorni Dio si è mosso in veste di operatore, affaticandosi nella costruzione del complesso edificio del creato, ottenendo alla fine un risultato che Egli stesso, in veste di esaminatore, ha giudicato molto buono. Ma l’opera è risultata molto buona perché il progetto era stato pensato molto bene. Prima che come operatore, Dio ha agito come progettista; prima di formare il creato, ha elaborato un progetto a cui ha messo mano con una sapienza che possedeva fin da prima dell'inizio dei lavori.
  Nel versetto 22, dove si dice che “L’Eterno mi ebbe con sé”, il verbo qanah usato nell’originale ha un significato generico di possesso con molte sfumature. Dopo il parto di Caino, Eva dice: “Ho acquistato (qanah) un uomo con l'aiuto dell'Eterno” (Genesi 4:1). Si può allora usare questo verbo italiano anche nel versetto 22 e tradurre, con riferimento alla sapienza: “l’Eterno mi acquistò all’inizio dei suoi atti”. E’ come se al momento opportuno Dio avesse "acquistato" un valido progettista, associandolo a Sé col compito di dare forma al progetto e seguire i lavori fin dall’inizio, passo dopo passo, cosa che poi il progettista-architetto ha puntualmente eseguito, confermando una sapienza che non gli proveniva dall’esperienza ma che aveva “fin dall’eternità” (v. 23).
  Il nostro brano sposta dunque l’attenzione dall’opera della creazione al pensiero da cui è scaturita, e più precisamente all’ideatore che l’ha pensata. Non è forse sempre da grandi idee che si producono nel mondo tutte le grandi opere umane? E se con un’attenta indagine tecnica e storica dei documenti che riguardano una grande opera, come per esempio la torre di Pisa, si potrebbe arrivare a conoscere chi ne è stato il progettista e quale ne sia stata l’idea originaria, chi può risalire dall’esame degli oggetti creati al pensiero originario del Creatore? Chi ha consultato l’Eterno prima che desse il via alla creazione? C’è qualcuno che sa rispondere?

    “O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi e incomprensibili le sue vie! Poiché: “Chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato il suo consigliere? O chi gli ha dato per primo, e gli sarà contraccambiato?” Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen” (Romani 11:33-36).

Un Dio che ama
   Continuando a fissare la nostra attenzione sul personaggio principale della Bibbia, possiamo chiederci: qual è la parola che esprime al meglio l’aspetto essenziale della personalità di Dio? La prima risposta che forse viene in mente è “amore”. Ed è quella giusta.
  “Dio è amore”, scrive due volte l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera (1 Giovanni 4:8,16). Nell’Antico Testamento non si trova una formulazione come questa, ma resta il fatto che Israele, come popolo e nazione, ha la priorità in fatto di esperienza dell’amore di Dio, perché Israele è l’unica nazione a cui Dio abbia fatto un’esplicita “dichiarazione d’amore”:

    “Ma ora così parla l'Eterno, il tuo Creatore, o Giacobbe, colui che ti ha formato, o Israele! “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! Quando passerai per le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, non ti sommergeranno; quando camminerai nel fuoco, non sarai bruciato e la fiamma non ti consumerà. Poiché io sono l'Eterno, il tuo Dio, il Santo d'Israele, il tuo salvatore; io ho dato l'Egitto come tuo riscatto, l'Etiopia e Seba al tuo posto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei stimato e io ti amo, io do degli uomini al tuo posto, e dei popoli in cambio della tua vita. Non temere, perché io sono con te; io ricondurrò la tua discendenza dall'oriente e ti raccoglierò dall'occidente. Dirò al settentrione: 'Da'!' e al mezzogiorno: 'Non trattenere; fa' venire i miei figli da lontano e le mie figlie dalle estremità della terra, tutti quelli cioè che portano il mio nome, che io ho creato per la mia gloria, che ho formato, che ho fatto'” (Isaia 43:1-7).

E inoltre:

    “Così parla l'Eterno: ‘Il popolo scampato dalla spada ha trovato grazia nel deserto; io sto per dare riposo a Israele’. Da tempi lontani l'Eterno mi è apparso. ‘Sì, io ti amo di un amore eterno; perciò ti prolungo la mia bontà’” (Geremia 31:2-3).

In queste citazioni l’amore di Dio si manifesta come un’opera che pone rimedio al male: Israele viene ricondotto in patria da tutti i luoghi dove si trova in esilio e trova grazia nel deserto scampando dalla spada del nemico.
  Anche per il credente in Cristo, la prima esperienza che fa dell’amore di Dio consiste nel perdono dei peccati, che fa scampare dal male della perdizione eterna. Poi è vissuta anche come benedizione per il presente e promessa di salvezza eterna per il futuro.
  Si pone allora una domanda: esiste la possibilità di parlare di amore senza nominare il male? Per noi uomini, per quanto buoni e santi possiamo essere, la risposta è “no”. Solo Dio può farlo. L’uomo ha ottenuto quello che non avrebbe dovuto ricercare: la conoscenza del bene e del male (Genesi 3:22), e come conseguenza il male gli si è irreparabilmente appiccicato addosso, quali che siano le forme in cui parla del bene, soprattutto quando nomina implicitamente Dio parlando con disinvoltura di “amore”.
  Seguiamo ora Dio in azione nella sua opera creativa.
  Quando si fermò ad esaminare il risultato ottenuto, era il sesto giorno, e fino a quel momento nessun male era stato compiuto o nominato. Il giorno dopo Dio “si riposò da tutta l’opera che aveva creata e fatta” (Genesi 2:1-3), e qualunque sia la spiegazione che si voglia dare del fatto, nei giorni successivi il male fece la sua apparizione negli atti compiuti dall’uomo. E se ne dovette parlare.
  Qualcuno allora forse si chiederà se sia stato proprio quell’aggiuntivo giorno di riposo che Dio si è concesso ad essere l’inizio di tutti i mali venuti dopo. Potrebbe essere questo l’errore di progettazione di Dio? Non è così. Quel settimo giorno faceva parte del progetto: era il “fattore di rischio” messo in programma affinché si realizzasse un autentico rapporto d’amore fra il Creatore e le creature. Messo davanti a una proposta alternativa, l’uomo aveva la possibilità di credere o no alla parola d’amore ricevuta da Dio. Poiché un autentico rapporto d’amore si fonda sulla fiducia, l’uomo dimostrò di voler dare più fiducia al serpente che a Dio. E con ciò si collegò al serpente, o per meglio dire al suo mandante.
  Tutto questo disturbò il riposo di Dio. Il settimo giorno, che nell’opera attiva della creazione è stato l’ultimo, doveva essere il primo di un “eterno riposo” di Dio. E’ significativo che l’espressione “eterno riposo”, che per noi mortali ha un suono che richiama sì l’eternità, ma un’eternità di morte, nel piano di Dio intendeva un’eternità di vita, in un rapporto d’amore tra Creatore e creature. Ed è un pensiero che Dio ha avuto prima della creazione, quando elaborava un progetto che per l’uomo prevedeva, in caso di una sua risposta positiva, un ambiente in cui il male sarebbe stato soltanto un cartello attaccato a una porta che non si sarebbe mai aperta e non avrebbe creato alcun desiderio di aprirla.
  Possiamo rileggere allora gli ultimi due versetti del testo citato sopra:

    … ero presso di lui come un artefice; ero sempre esuberante di gioia giorno dopo giorno, mi rallegravo in ogni tempo in sua presenza; mi rallegravo nella parte abitabile della sua terra, trovavo la mia gioia tra i figli degli uomini(Proverbi 8:30-31).

Qui il soggetto è Dio che agisce assistito dalla sua eterna sapienza, che non solo gli fornisce elementi per compiere un’opera creativa tecnicamente perfetta, ma anche lo allieta col pensiero di quando potrà rallegrarsi nella parte abitabile della sua terra e trovare gioia tra i figli degli uomini. E’ da qui che deve cominciare la riflessione sull’amore.
 La presentazione della sapienza di Dio che qui fa la Bibbia non è la personificazione di astratti concetti umani di giustizia, pace, libertà, ma pura e gratuita rivelazione che Dio fa di Sé agli uomini come destinatari del suo progetto creativo di amore. Un amore che è fonte di gioia: Dio si rallegra nell’esecuzione di ciò che è nella sua mente; si rallegra fin dall’inizio, giorno dopo giorno. E pensa al compimento finale del suo progetto, quando troverà la sua piena gioia tra i figli degli uomini.
  Il tentativo ci fu. La parte abitabile della sua terra fu in origine il giardino di Eden, dove il Signore andava ad incontrare Adamo ed Eva. Ma quella volta non li vide. Non si mise a cercarli, non mandò angeli a scovarli. Usò la voce, quella stessa voce con cui aveva detto ad Adamo: “Del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare”. E pacatamente chiese: “Adamo, dove sei?” Adamo si fece vedere e rispose. Fu quell’atto, non certo le sue penose parole di autogiustificazione, a far sì che la storia d’amore di Dio per l’uomo potesse proseguire, anche se in modo molto, molto diverso.
  Il riposo di Dio si era interrotto. Dio avrebbe dovuto ricominciare a lavorare.

(continua)   

(Notizie su Israele, maggio-giugno 2025)

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